Non ne possiamo più del covid, i problemi sono tanti e stringenti. Ogni giorno tocchiamo con mano la povertà, strisciante e incombente, la precarietà economica, le famiglie che possono a stento mangiare, la gente che ha 50 anni perde il lavoro, o ne ha uno troppo precario, i giovani che non lo trovano, o forse non lo cercano neanche più, mentre i migliori, o quelli che possono, se ne vanno all’estero, emigrano, a coltivare una fragile speranza di futuro.
Ma noi, quelli che restano, coloro che si ammantano, o si nascondono dietro una presunta cultura, che facciamo? Di fronte alle emergenze ambientali, occupazionali e sanitarie, come ci comportiamo? Siamo capaci di costruire un reale progetto, per quanto piccolo, che costituisca, nel tempo, una possible alternativa, qui e ora? Ognuno nel suo campo, siamo pronti a darci una mano, o invece, ci rinserriamo dentro noi stessi e non riusciamo ad andare oltre il mugugno di una sorda e comoda rassegnazione?
È vero, a volte ci manca la forza, ci trasciniamo nell’oggi, illudendoci di andare avanti, verso un nuovo giorno che non arriva mai, ma proprio quando ci sentiamo stanchi, diamo un ultimo scatto, alziamoci e proviamo a correre di nuovo.
Proviamoci, ancora una volta, tutti insieme. Perché la colpa, non è sempre degli altri.
Dopo il terribile attacco giapponese di Pearl Harbor, il presidente americano Franklin Delano Roosevelt, di fronte alla tracotanza e alla preponderanza delle forze nemiche, era ormai costretto in carrozzina e lacerato dai dolori, per le conseguenze di una poliomielite invalidante, non poteva quasi più muoversi. Davanti ai suoi generali che non comprendevano più cosa fare, la volpe zoppa non si arrese, ma rischiando milioni di uomini, insieme con un vecchio lord inglese se mi alcolizzato, che si chiamava Winston Churchill, quando nessuno lo credeva possibile, programmó lo sbarco in Normandia e vinse la guerra.
Se lo ha fatto lui, possiamo farcela anche noi. Partendo da qui, dai canyon carsici e disseccati, di Ginosa e di Laterza, nostra forza e nostro dramma, nutriti anche della nostra costante acrimonia e indolenza.
Facciamolo ora, perché i nostri figli non si accusino poi, del coraggio che non abbiamo avuto.
Michele Pacciana
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